Codice a barre

Sta petécchia di codice a barre sbiadito non passa.
Le brillano gli occhi a brillanti su un viso ch'è un terzo
e mostra due terzi ad emblema possente e irridente.

Sono solo un cartello indicante altre cose. Uno specchio!
E mi vedi: mi vendo di sera a un marito maldestro o per caso.
Ridenti stelline 3000 con codice a barre abraso d'attese.

Tic tac 800, lo passa veloce e s'atteggia scrollando la chioma.
Melone pachino 8000 che rotola giù e s'incastra ai biscotti 300
risale la mente e s'innesta al duodeno qualcosa che inghiotti.

E salendo ti monta la testa t'arresta l'immagine-freccia
sfarfuglia un perché 400 che mesta ricordi ormai gelo
che blinda le tempie già stanche a un ebete lasco.
(26 dicembre 2010)
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Pensieri in croce

Mi facevi volare a suo tempo
quanto urticante sei ora.
Maligna frazione della vita.

Le tue costole secche erano calde,
l'afflato annullava le miserie.
Non sembrava ci fossero controindicazioni.

Strutto dal fiato delle tue ombre
mi scioglievo come il lardo sulla padella.
Amavo quell'amore dell'allora sempre, poi finito.

L'aria nuova me la sentivo per te sulle spalle per un pò,
poi da quel freddo febbraio ci ho creduto trent'anni.
Ma la serpe che t'aveano infilato in testa riusciva ogni tanto.
(15 dicembre 2010)
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Patria

Un giorno è caduta la bandiera della mia patria,
poi l'inno non s'è più sentito e non se n'è saputo più niente.
Sono caduti ad uno ad uno tutti i miti che indicavano il da farsi,
sono cadute le favole, gli amori, l'aria garibaldina che teneva fresco l'andare.
E il luogo della patria è sfumato anch'esso un mattino di marzo 2005,
non c'era più posto dove stare e sono diventato extracomunitario anch'io.
Ogni luogo era buono per stare con me stesso sotto le nuvole,
una specie di liberazione - direte - ma non sembra nemmeno così.
Un bacio all'aria fritta, un bacio ai ricordi, alla macchinosità del divenire
faceva più rumore del treno che fa sobbalzare le fondamenta di casa
se abiti nei pressi di una ferrovia di campagna.
Andavo nella prateria sconfinata della mia mente a cercare luci,
ma tornavo con un pugno di niente avvolto in un panno di nebbia.
Bandiera, inno, e il luogo di una patria rimanevano indicibili,
anche un guard-rail del porto era buono per sentirmi a casa,
anche un dondolo ergonomico era buono per congelare le meningi.
La città intera, tutte le città, non erano quanto un guard-rail del porto,
dove osservi le manovre dei traghetti come un gioco da tavolo.
Ora mi manca pure la nudità delle cose traverse,
delle cose che non si vedono ma ci sono, di quelle che si vedono ma non vedi,
che s'è disciolta nell'acido lisergico di un lustro.
(6 dicembre 2010)
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Una ventata improvvisa

Una ventata improvvisa m’ha scardinato l’ombrello nuovo,
manico rotto, cupola rovesciata, bacchette distorte, mantella strappata.
C’era pure nelle cose l’accenno del nubifragio imminente,
ma la sorpresa è stata inalienabile e funesta, ... e di schiena.
Mi sono ritrovato in casa con un oggetto diverso tra le mani,
volevo buttarlo alla comunità, volevo azzardarlo a un algebrista. 
Volevo perfino andarmene all’inferno per non vederlo più così ridotto,
per non sentire più l’eco per casa della porta alle sei.
Ed all’alba scrutavo se fosse ancora qui,
se una sola, anche in una sola vena potessi sentire una pulsazione fioca.
Mi sono ristretto fin quasi a scomparire nelle mie spallucce strette,
e ringraziavo non so chi dell’immanenza incredula e pietosa.
Mille giorni in apnea di tutto, mille giorni in apnea d’affetti, d’agio, d’ingiurie
alle nuvole che n’aveano divelto il senso con un tradimento sottinteso.
Giravo come un fantasma alla ricerca di cose che non si sanno,
di cose che ti possano far dormire quando non ti viene il sonno,
di cose che sai che ci sono ma non sai come e dove sono.
L’inutile ricerca s’è aqquietata con l’aqquietarsi delle cose in se,
con le parole stridule di un dormiveglia schivo,
con i pensieri di un sonnambulo grato alle stelle
per non dover sentir l’odor di brasatura da bara.
(28 novembre 2010)
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Ancora Szymborska

Me ne torno con la mia Szymborska in 25 miti
e le tasche piene di fazzoletti umiditi
al punto di partenza, ed anche oltre.
Senza la cinesina milanese che ripete
p come pane, c come casa, v come vento.
Ma con el niño divelto dinanzi che ripete
c come canna, p come pera, eccetera,
verde finanziere, di carne e ossa ma pupazzo di pezza.
Ora qui c'è la raccolta differenziata che risolve,
ma qualche cartone afflosciato dalla pioggia
non sappiamo dove conferirlo.
Passano carrozzelle anche qui
ma svoltano brusche e confuse sgommando
in una strada secca e senza ragione.
Anche qui mangerò supplì freddi,
mentre l'indiano bronzato pulisce il vetro.
Ci sono io con le mie carabattole di sempre,
i miei sigari, i miei calzettoni militari ai piedi,
il mio tarlo, le mie spallucce strette,
a guardare il corpo di un uomo quasi andato.
(7 febbraio 2010)
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Fronde al vento

Le mie fronde oscillavano con la corrente dell'alba
carezzando l'aria calma.
Il tempo era quello che non matura mai e che sfiora i tuoi capelli,
che ti fa socchiudere gli occhi all'ombra dell'infinito.
Anche i nomi avevano fremiti vaghi
e mi marcavano come calciatori incalliti,
e mi marchiavano per un poco di buono.
Arrivò la tempesta e il tronco rimase fermo
mentre i rami se ne andavano d'ogni dove,
e le fronde appassite per l'aria di Ancona
erano la compassione del tramonto.
Del tronco è rimasto un arnese malato
che non scrive più niente alla sera,
mentre i rami e le fronde sono calpestati
per tutto l'inverno da scarponi malvagi.
(28 giugno 2008)
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Destino

Moriva se non iscriveva il mio nome nel suo destino!
E così sono stato sgarrettato da ambo i lati
delle certezze di cui andavo sereno.
Ogni fantasia si è ristretta in quel poco di spazio
che rimuginiamo ogni giorno dell'anno
per farne un mondo senza mondo.
Ora passeggio con questo corpo come se non fosse mio
e maneggio la mente che mi stringe il cervello
come se fosse una pagnotta indurita.
(2 maggio 2008)
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Saluto e torno indietro

Treno pronto Ale 320.897.
Mi stride vicino.
Ruota una slide al binario uno,
presenta vestiti alla moda,
presenta sogni dispersi e fascini amorfi
che non ci sono che su passerelle.
Due valigioni a rotelle rimbalzano la fascia gialla
allertando i piccioni sui fili dei tralicci.
Si cambia binario dal tre all'uno
perchè l'ETR è lasco nei lavori in corso.
Eppure si lancia presto nella danza delle anse
della Gola della Rossa che incombe.
Il cielo è ventilato e terso
e le gemme degli alberi brillano nel tramonto jesino.
Ora non ci sono più scritte nella campagna marchigiana,
niente volgarità commerciali, ma colline ordinate
in attesa che arrivi il loro angolo di natural declivio.
Non ci sono più nemmeno i marchigiani,
sostituiti da parlanti lingue lontane.
Non vedo nemmeno l'impegno del mio dirimpettaio giovane
che sberleffa al cellulare contro suo padre.
Alle gallerie scompare il tramonto e pesa il buio della fantasia.
Saluto la mamma, un attimino,
e torno indietro.
(30 aprile 2008)
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La cinesina milanese

Ho le tasche del giaccone piene delle mie carabattole,
sigari, caramelle, la Szymborska in 25 miti,
e poi il cellulare, la fotocamera, il taccuino su cui scrivo,
questa penna che sopravanza le idee.
Se ho le tasche piene di carabattole non è perché sono povero,
mi sento ricco perché non do fastidio a nessuno,
si direbbe che sono autonomo, ma non pare nemmeno così.
Qui di fronte s’è seduta una cinesina vestita alla milanese
che ripete p come pane, c come casa, m come montagna,
ha lo sguardo loscamente ingenuo di chi non sa cos’è,
né cinese, né milanese.
E io, poi? Forse milanese per un giorno, forse bipede,
ma seduto con ordine sulla panchina di legno.
Nei palazzi di fronte ogni tanto s’alza una tapparella,
qualcuno si rischiara la voce scatarrando due tre volte,
poi giunge un bambino che vuole la nonna sullo scivolo.
Ma sé matt?!
Motorette e berline ordinate sulla Padana Superiore.
Le scope del Road House Grill si agitano nei secchioni.
Non ci sono quadrupedi qui, e nemmeno campane.
Di colpo risuona il rombo di una moto tra i palazzi,
pare arrivata la morte delle motocarrozzelle naziste
come riferisce mia madre per ricordo, qualche volta.
La Pasquetta qui è diversa da quella dell’anno scorso,
non ci sono indiani bronzati qui, nessuno ha dormito sui cartoni,
non ci sono nemmeno i cartoni, né le cartacce.
Le cornacchie sulle antenne TV si godono il sole.
Spiaggia, spiaggia, spiaggia, ripete la cinesina ignara,
alle prese con una lingua lontana quanto la sua.
(24 marzo 2008)
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Ammuina

Ipoglicemici appena, passo svelto
visi tesi, sguardi nel nulla
in fila al banco per un polpettone
a scelta tra 10 simili.
Bienvenido Hola
Dietro la riga gialla! Privacy!
Tutto noto: dal bolo che scende al duodeno,
fino alla pisciata che ci solleva.
Ci rimane se masticare da destra o da sinistra.
Iperglicemici per un pò dinanzi al monitor,
si piega lo zigomatico, s'aggrotta il risorio,
mentre la flatulenza e il sudaticcio
prendono il posto
dell'odore di bucato e d'estrogeno.
Passiscono le capigliature e s'increspa il gel
mentre torniamo ipoglicemici.
Per miliardi di flatulanti urbani
si procede come noto e da turisti.
L'ombra remota del governatore
comincia a sentirsi sui suicidi
stanchi del benessere crudele del polpettone.
L'ammuina generale fa scacco del pensiero d'ognuno.
(29 febbraio 2008)
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L'angioletto di Piazza Roma

Non vedo dirupi, né sabbie mobili.
Che ci sia già dentro?
Non vedo luci per una dirittura soave,
ma sono soddisfatto di questo niente minino.
Rido anche di qualche cosa, qualche volta,
e se mi guardo intorno vedo talora il peggio che avanza procace.
Mentre l'angioletto di Piazza Roma piscia in alto
con la sua prostata ingrossata
mi saluta una studentessa in esubero esistenziale
e mi libera del chiodo vacuo del nulla.
Mi domando per dove passa la differenza,
lei così solare, io così come ho detto.
Non c'è ossigeno qui, nè cicoria da carpire,
non ci sono ombrelloni, né il sospiro dei morti,
e la vecchia dalle mille buste attorcigliate non passa.
Umbertino il barbone, poi, è morto.
(12 marzo 2008)
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Tardo juke-box

Il frastuono del juke-box le aveva clikkate
nella notte svampita col sole del giorno,
s'erano accaldate nella vampa del dance
e ora s'avvampano nell'arido della menopausa
nel cinico reverse di ogni giorno
sotto stelle che non tracciano più
nemmeno una rotta sulle sabbie.
Non lasciano più scie di profumo
che s'è infranto nel lavapiatti quotidiano,
dimostrano un tentativo di rimonta
ma non orlano la mente che di un gesso ortopedico.
(28 febbraio 2008)
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L'estrogeno saltato

L'estrogeno è saltato all'ultima curva
con lo stridore dei freni è rimasto solo l'acre delle ascelle.
L'estrogeno è saltato sul ponte della morte
inabissando anche le lacrime che sono scese fino a giorno.
Si dicono deluse del moderno
ma aguzzano l'ingegno della nonna
agitando le chiome da assettare.
L'estrogeno è saltato dall'orlo del baratro
come nel film "Gioventù bruciata"
e non ha lasciato scie sul selciato.
Ci siamo persi nelle penombre bizantine
consumando l'ultima siringa dorica
senza esercizi ginnici né palestra.
E' rimasto l'acre delle ascelle
a barattare una spilla da balia
mentre la mia verve è infartuata.
Non si vede il giorno quando passa la ronda della vita
a darti lo schema del da farsi,
non ho visto l'inganno
e sono inaridito senza peso né feste.
(28 febbraio 2008)
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Ritratto a consumo

A misura di naso odoran d'ascelle,
a misura di naso l'hennè copre il dovuto del bianco.
A misura di un braccio
un improprio profumo le accomuna alle mestrue.
A misura di canna (di Montenovo)
non si vedono rughe né varici,
non odoran d'estrogeno, non emettono lampi dagli occhi.
Quel tanto da occultare il rigurgito,
la scollatura è presagio soltanto per la palpazione mammografica annuale.
L'attillatura non tiene e la gorgia si mostra impietosa.
Anche il saluto con bacio diventa un'angoscia
e le belle sembianze cadono come un intonaco a calce.
Passano impettite su tacchetti a spillo
sbirciando gli sguardi come trent'anni prima.
Guardano l'orologio scappando dal nulla.
E' ora di cena - pensano - ma ormai sole
si ricordano che nessuno le aspetta.
Salendo sull'autobus flessuose
e chiedendo un biglietto in vettura
s'assettano con destreggi sapienti e ormai stanchi
che nessuno apprezza più.
Senz'anima né istinti cercano un sorriso di casa.
Dopo il sonnecchiamento davanti alla TV
il coricamento avviene perpetuo e solenne
mostrando la schiena in vestaglia all'assente.
(2 luglio 2007)
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Capelli rigidi

Capelli rigidi, visi tesi, occhi nel nulla
si destreggiano con tacchi a spillo
sul pavé dai lavori in corso.
Fanno oscillare una borsetta gonfia di carabattole
cercano il prezzo di slip colorati che sanno di plastica
lasciano scie di profumo celato da rose.
Espongono un filo di ventre abbronzato
saccheggiano sguardi di eroi passiti,
s'immolano all'altare di Icaro.
Non dicono che i loro ventri stanchi anelano pace,
non vogliono coccole, han paura del seguito.
Si dicono truffate dal destino di generare,
dal destino che pulsa nei ventri di tutti,
non è quel che credevano da ragazze.
Volevano una gloria sopra i metri umani
una gloria semantica ed ebbra passando sopra l'esistere.
Ma la gloria non è arrivata a cinquant'anni
e l'afflato giovanile si rivela una trappola
che le incanala al cinismo della menopausa.
Pensano disilluse al figlio trentenne precario
in casa a sciuparsi del nulla,
esubero che nessuno vuole,
scarto di una filiera della mobilità,
errore vivente.
(3 giugno 2007)
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Piazza Roma

I palazzi mi cadono addosso
in questo tavolo a Piazza Roma
mentre l'amico di spalle fuma un sigaro con me.
Non c'è luogo per stare sotto questo ombrellone
che si accascia su di me,
e le fronde degli alberi a primavera
mi pesano come mosche sotto il caldo.
Anche la musica di Battisti
si avvolge su di me come un pitone
con il primo innamoramento di "Balla Linda",
mi rammenta anni passati,
attuali come l'indecidibile di Godel.
Tra le cicche in terra
non ce ne sono tre allineate, come se un dio
ne impedisse la disposizione.
Non si sente lo sferragliare dei treni qui.
Tutto ti sormonta feroce
come la fienagione d'agosto in montagna,
come la folla ondulante di Roma,
come i pensieri sul foglio che s'aggrinza da solo.
Qui tutto è niente, e niente pare tutto,
tutto scorre in un fluire immobile,
niente ha l'aspetto del mio cuore ormai stanco
stretto tra le domande su un passaporto d'aldilà.
Passano uomini e donne anche qui,
ma non guardano niente,
pesanti nei loro luoghi mentali senza luogo.
Passano piccioni secolari, cartacce svolazzanti,
motorette impettite, divorziati indifferenti.
Passano occhi vuoti che si fermano su un'etichetta
che non domandano più nemmeno il prezzo,
che spariscono su se stessi come gorghi.
Non passano adolescenti, non passano buoi al giogo,
né Nietsche, che appare lontano,
astruso profeta che non parla più a nessuno.
Con cento buste di plastica attorcigliate
passa una vecchia grassa che ruga all'inferno,
sguardo basso, misura le mattonelle
di un marciapiede che non c'è,
misura la morte che cammina.
Vaga in cerca di un luogo,
rimonta a Capodimonte
e cerca il vedere lontano e sobrio
nascosto nell'urbe delle nebbie bizantine,
nelle sabbie mobili di un'esistenza che pulsa ancora.
Passano i tempi senza avere una meta
e ridispongono a caso le cicche
mostrano insolenza per luoghi ordinati,
mostrano forze che non vediamo
che scorrono sotto la pelle come sotto al pavé.
(5 maggio 2007)
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Favole

Torpidi arcigni a tempestar contrade d'eroina
dal mare arrivano in container colorati
con la loro merce a tonnellate
inondano piazze, vicoli e il servizio antidroga.
Nessuno li vede, nessuno li sente.
Le favole dicono che c'è un prefetto,
e che un questore vigila attento,
ma che non acchiappano che mosche,
e il poliziotto assèvera in verbale.
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Cadono miti e non basta ispezionarci dentro,
abbiamo poco da offrire dopo la mietitura della vita,
siamo rimorchi svuotati del carico,
bilici senza le ruote,
frasche oscillanti prima di una pedata,
luci che stanno solo su una pellicola.
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Ogni cognome porta storie dimenticate
come di ogni nome non se ne sa più il perchè.
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(4 maggio 2007)
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Gita di Pasquetta 2007

La mia lingua non viene parlata su questo tram,
solo balbettio di gente senza luogo
che scruta se arriva il controllore.
Belle donne su tacchi a spillo
che ostentano fascini consumati nel ventre,
s'aggiustano i capelli scrollando la testa
emanano odori da femmina che il tempo non seppellisce.
Anch'io senza luogo, ... da uno scalino
rispondo per la metro più vicina a Trastevere
a ragazzi briosi, esposti agli appetiti dell'esistenza.
Mi alzo e vado a passeggio,
riprendo l'andare, che lo stare è già inquieto.
Non ho da fare scelte ... io,
e mi godo il vuoto che s'assomma all'angoscia.
Valige e borsoni a rotelle stridono sul selciato.
Passano auto con uomini e donne nell'urbe dei miti,
passano a piedi, s'informano guardando colonne e fontane,
schivando borsette e cinture di marca.
Big-mac 5 euro ... mi dice l'indiano bronzato,
ma rimangio i supplì che sono ormai freddi.
Si macchiano di colpe che non li faranno dormire,
di colpe non loro,
s'impastano all'aria melensa del diesel,
come all'acre del decapante da bara che ho nel naso.
(9 aprile 2007)
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Vaneggio

Aleggio nel turismo di Vienna senza luogo,
leggero su un pass che non porta orizzonti
né giardini, né tombe, né lanuggine di pioppi, né pelucchi d'acrilico.
L'afa di Ancona mi passa radente alla mente
anima senza corpo, orecchio senz'ode
erba di un prato senza flamen, anima senza corpo,
fruste fugaci che sferzano ombre aggrottate nell'aria.
Risme di carta che il vento dislega
come gocce d'olio nell'acqua calda distesa.
Rampogna che rode il cervello
e fregia d'alloro l'inferno imminente ...
mi chiedo l'errore, lo sbaglio, la cosa mancata,
lo scacco raccolto mi ghiaccia.
Si perde ogni senso, ogni amore, ogni roccia.
Le mani incrociate non danno ragione
a un rosario nervoso che asserisce e smentisce,
svanisce e ritorna più ampio.
Mi manca perfino la pelle della nudità
intorno al farsi la morte.
Mi iscrivo all'immenso e ne studio le mosse,
mi duole la pancia, mi strido da solo,
m'aggrotto e mi scrollo le spalle,
scrivo e riscrivo pensieri sconclusi e sonnanti,
ripresi di notte, riletti di giorno,
stracciati come lemmi inessenziali.
Statuario il problema campeggia, si sfuma,
ritorna tagliando ogni cosa, s'arruffa, si staglia, si toglie.
Rapace aspira ogni fiume nel vano, ... nel limbo della cosa.
La tacita intesa sobbolle di nulla.
Non c'è preghiera, scongiuro, perdono, riscossa.
Se Parmenide aiuta, Eraclito affossa,
e mi scrive sull'orlo del foglio ch'è la fine.
(27 marzo 2007)
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Senza titolo

Pensieri distorti
dovuti a un'immagine.
Pensieri inconclusi
che più in là non si fanno.
Solo la scorza, solo l'apparire
come in tanti.
(sms inviato ad un amico il giorno di Pasqua 2007)

Quella mano grassottella

Quella mano grassottella s'è smagrita
come una zampa di pollo bollita
il cui destino è un bidone.
Quella mano grassottella nella mia,
non c'è più ... non c'è più ... non c'è più,
s'è smarrita nel tempo estraneo della polis maledetta.
Quella mano grassottella tornerà distesa
sull'addome, nell'odore aspro del decapante.
Strideranno le mamme,
getterò il mio pugno di terra al vento.
Poi aleggerà su di noi uno spirito di pace
che il tempo fonderà con l'aria dei respiri
come la rugiada su tutte le cose.
E se mi spingo nell'oasi della morte
sarò preso dalla selva della vita
che mi prenderà la mente fino a stritolarla
leggera leggera come i pensieri di un risveglio.
(27 marzo 2007)
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Sonno forzato

Lento s'innesta il giorno dalle pupille al cuore,
dalla mente ai sapori.
Latte, orzo e fette biscottate.
Lento s'innesta il coronario dinanzi al vuotatoio
ove l'alma preghiera diventa l'émblema
per "chiudere la porta".
Lento l'Allegheri m'alza lo spirito soave
sopra di un colle ameno
dove l'anime brulle il particular digrignano
prima del sonno indotto.
Quarticelli ... si! ... il prelievo.
Baiocco ... éh! ... le pillole.
Quarticelli ... éh! ... il termometro.
Baiocco ... si! ... l'ecg.
Entro nel limbo dei temporanei assassinandi
con leggera e inevitabile follia,
stasera vi racconterò il viaggio del sonno.
(4 settembre 2006)
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In morte dell'aria che respiro

Mi sono strutto al tepore del tuo fiato
come un elettrodo al flusso della corrente.
Mi beavo carezzando la tua mandibola pelosa
mentre i tuoi occhi mi spogliavano della miseria.
Ora gli àuguri sono sopra al tempo
e non danzano più con noi.
L'odor di brasatura da bara
sale alla memoria di mani giunte a un rosario.
Mi agito librandomi alto ... (a livello degli acari)
tra il cesso e lo studio bevendo un caffè.
Tra gli acari e il lezzo del sigaro
mi faccio una sega.
Il turno è arrivato e Cronos vagheggia sorprese
sfalsando passaggi ... che dire non posso.
Non c'è appello alla cura che fu,
me lo dice Lao Tsu mi che il seme contiene la fine.
E allora ... che bacherozzi pulsanti
faranno metano nella cassa stagnata,
qual pietra bagnerò di dolore
s'io non mescessi l'eterno col qui?
(1° luglio 2006)
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Mi duole la pancia

Domande indipanabili, progetti in frantumi
col grimaldello del silenzio,
assenza che sgrava pensieri arruffati.
Mi duole la pancia
intanto che la memoria
ritorna ai calcari d'Appennino
di dove sento il flamen filiale di me e del mio.
Mi duole la pancia
ma non cambio casacca
che è la sola che ho,
pure lercia ha i colori del sole.
Mi duole un ginocchio
è il tempo che cambia e si mette in burrasca.
E' il silenzio che avanza a stordirmi le orecchie,
a vuotarmi la testa e mi arresta la penna.
E' il silenzio che avanza.
(3 luglio 2006)
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Fanculo

Come una bestia lurida e rincagnita
assento me dal consorzio civile
e mi conto le pellagre.
E mi dico che pure dal mio dondolo ergonomico
ne uscirà la bile ansante d'angoscia
che lorda speranza ad un tempo.
La mia notte è terminata
come il viaggio di un pellegrino mariano
che va e torna a casa.
Fanculo mignotte invasate e ingrassate
dal lardo più insipido.
Fanculo.
(16 luglio 2005)
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Girando tra i banchi

Vite correnti, nastri asfaltati, corone diamantate,
libri in caligine che sfilano al passaggio del re.
Sigari laschi e sigari pregni ne fumo a borsette,
intonso nel loculo la primavera m'assale
al finir dell'inverno.
Come cariche elettriche uguali
ci respingiamo oramai perfino
dinanzi a un piatto di spaghetti.
A digerire l'anemia dei sentimenti sono svuotato
di merci contraffatte galleggianti nel lago dell'esistenza.
E' un'apnea che m'opprime e mi lascia irrisolto
nel lezzo fumoso di marzo ad Ancona.
M'inganno ed esco girando tra i banchi di roccia,
tra i rudi calcari, ondeggiante, opprimente e maestoso,
dove l'adolescenza svuotò le certezze infantili.
L'amore mio non c'è più
(anche la cagnetta ha le sue esigenze)
e mi levo assonnato vegetando in me stesso,
librandomi alto a livello degli acari,
tra il cesso e lo studio leggendo il parquet.
(26 marzo 2005)
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Gelo

Passo giornate a ribellarmi a me stesso
seduto su un ermo colle a cavallo di un'ansia
che passa e ritorna e rinfocola sensi e dissensi.
Mi metto di traverso a me stesso
e bislacco con gioia un senso molesto
fregando le mani col mondo intero, dinanzi ad un clik.
Leggo all'indietro il mio libro coi pensieri più belli
e che oggi marciscono nella vertigine di un sigaro legnoso.
Mi manca una spanna di terra alla conta del domani
quando sarò in braccio a satana a contar pecorelle
col naso all'insù.
Mi dissi vai dritto, c'è da fare, c'è da fare,
ma oscillo tra la mia destra e la mia sinistra
e rimangio i supplì che caldi non sono,
pensando alle cose messe in moviola
nel lezzo del fumo, tra libri posti per argomento,
tra carte bollate e lettere stanche e assenti.
Chi siamo? - mi dissi - poi il silenzio alle domande notturne
divenne regola con l'argano mesto del mondo
che lascia la voglia e parte anzitempo
fondando pensieri annacquati di niente
mentre la sabbia offusca le tenebre.
(12 febbraio 2005)
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Frattaglie

Tra gli acari e il lezzo del sigaro
riposo nel mio loculo stretto,
o troppo largo per oggi, non so.
Ingollo nutella e pane
e perdo tempo a tradimento.
Gratis rifletto e vocalizzo
con la strategia che non c'è,
con la tattica che va in frantumi.
Tra gli acari e il lezzo del sigaro
mi faccio una sega,
che meglio non ho.
Via ... andiamo tutti all'ara del lavoro,
andiamo tutti a vendere aria fritta
al mercato della speranza.
E diciamoci che, si!
oggi è andata bene
sono ancor vivo,
ma deambulo appena
col mio cervello appannato.
(20 settembre 2004)
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Mattoni

Non ho più voglia di mettere insieme
i mattoni del mio futuro
e tra queste mura non si sta più come prima.
Quelli che avevo si stanno allentando
in quest'ultimo lustro
e il vento passa pure in questo grosso maniero.
Pare di star sulla strada con la mente e col corpo
ad aspettare scenari
che per ora non si vedono all'orizzonte.
(19 settenbre 2004)
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Le foglie

Imbocchiamo il viale del tramonto, portiamoci là,
ci sono le anatre e le canne nella terra di nessuno
che si ribellano alla morte mentre io sono quieto.
Mi si dice che la vita è una lotta, ma io lotto
come un lauro vecchio, immobile e astratto,
succhiando linfa dagli eterni calcari d'Appennino.
Non vado alla messa, no è vero, non ci vado,
ma vedo la magia che arranca nella vita ad ogni costo,
vedo le stelle e il silenzio che le circonda immobili.
E come le foglie di Quasimodo
sto sul mio dondolo ergonomico
aspettando un afflato asfittico.
(27 marzo 2004)
.

Niente di niente

Passo la giornata immerso nell'esame del niente.
Profondo esame del nulla,
tra una canna di bambou e un muro di terra cruda.
Passo la settimana nell'esame approfondito di un'ombra.
E passa anche il mese, or che è agli sgoccioli.
L'anno pure se ne va cantando il requiem.
Esaminato il nulla, si passa al niente
che pare più promettente, come un'angoscia
nel turbinio vuoto e sensuale di un nonnulla.
Tutto passa e se ne va - diceva nonno Bastiano -
col fiume della vita evaporato dopo la curva stretta
della sospensione del nulla al moto dell'infinito.
Un lasco pensiero oscilla nella mia mente come un cuccù
dall'adolescenza calcarea e sfarinata
dopo lo scontro audace del vivere e del morire.
Arriva la sera e celebro il niente di un sigaro
fumoso e inasprito dall'umidità dorica
e da un andare lieto e scanzonato.
(16 novembre 2003)
.

Plauso modesto

Ci siamo reimmersi nel tempo artefatto di un anno agli sgoccioli,
portando un abito con pieghe che vanno a rinnovo,
con pieghe che non fanno dormire.
E' bene andar noi dove l'anno sta andando veloce e impalpabile.
Anche nel parcheggio di un supermarket si celano visi espressivi
che sporgono avanti e si tirano indietro come frasche oscillanti.
E gli scritti presagi inconclusi riemergono col nulla di sempre,
in un plauso consumato e modesto.
(18 ottobre 2003)
.

La correntina del fiordo

Fai capolino nei miei pensieri e ti insinui in essi
come il caro estinto a una giovane vedova.
Svolazzi come una busta del supermarket
tra le fronde delle querce sulla direttissima cameranense
mossa da un alito dell'aria di risacca di un giorno assolato.
Te ne vai come un cooky nel mio sistema operativo
e lo attraversi non richiesta.
E passi di qua e ritorni di là,
come la correntina di un fiordo
tra le cartacce galleggianti e quasi ferme.
Spingiti oltre, ti prego, spingiti oltre
e scompari per sempre, finché sei in tempo.
Non farti più vedere, tu, ciclone solare
che hai rimestato i miei pensieri adolescenti
portandoli alle stelle, ad un'ansa del mare,
dove i bastoni oscillano su e giù per ore.
Spingiti oltre, ti prego, tu che oscilli
tra ciò che fu e ciò che non è stato,
spingiti oltre e non farti più vedere.
Rasenta le vette dell'oblio
e cancella la memoria andata,
aspergiti il capo nelle tue banalità
e rivoltati pure nelle tue miserie inconcluse.
(16 dicenbre 2002)
.

Tranquillità media

Oscilla per estremi la barra del sereno
e su e giù s'innalza nella luce e sprofonda nel buio.
S'incarna nella pietra s'abissa nella lava.
Cuoce e ricuoce quest'anima lessa
come un arrosto bollito alla brace.
E non vedo le piccole isole ovattate
nel mare della tranquillità media garantita
degli umani che mi girano intorno.
E non sento che il divaricarsi degli estremi
che livella la crosta dell'esistere e tempra ogni ferro.
(1° dicembre 2002)
.

Dammi la vita

Piccola, dammi la vita, fatti stringere
nel crogiolo dell'anima, fatti montare.
Saremo re e regina per cinque minuti,
per cinque minuti.
Saremo un solo animale sognante
e staremo per creare altra vita.
Per cinque minuti cambieremo il mondo.
Per cinque minuti.
Daremo i nostri afflati
ad un altare maestoso
nascosto nelle pieghe della vita,
spariremo dal quotidiano e dalle sirene.
Senza misura misureremo l'assoluto,
per cinque minuti.
Piccola, fatti montare,
per cinque minuti,
per cinque minuti.
(23 novembre 2002)
.

Vaneggio passando

Caramelle tabù 2000
Insalata di mare 6000
mi metto indigesto
un peso agrodolce 600
rinfianco di pena mielosa 800
inconcludenze di rozza fattura
e malocchio malconcio
una stanza 8000
serena divelto l'infisso
mi metto il cappello la giacca
i calzini 800
Sangiovese cavallo 4000
sottobraccio furtivo m'accosto
alla cassa 38
passando vaneggio
mi mordo le unghie
ci penso, che bella la bionda
mi giro diritto guardando la frutta
pomodori secchi e carciofi
portiamo una stimmate lasca 800
sul volto di oggi e mi pesa,
v'aggiungo una piuma 250
che pesa che pesa
in coscenza come una meta
cui tendo un succo di frutta 1500
domani 3800 mi mostro
alla bella di cassa 90
la pasta de cecco 1600
l'amico angiolieri 40
mi versa un denaro
tramanda 800 rimorsi
e serpeggia passando
e vaneggia e farfuglia,
e mi blinda le tempie
e gratta le unghie al cemento.
(28 luglio 1999)
.

Confronti di vani

Gessetti colorati 1600
Ricambi e ricami maxi 1500
Fiori zucchine 1700
Melone pachino 2600
Sconto per tutti 120
Mi meno un pensiero 180
Tra inerti scaffali
Stelline puntine farfalline
gioiose ridenti 800
Mi passano intorno
mi sfiorano ancora
sopra un diniego
che plasma un duodeno
Agrodolce in vasetto 2800
Amaro di bile 7000
Amaro pensiero appresso la morte
lattuga romana
insalata di mare
mi morde l'allappo
di fianco a un via vai
che ancora resiste 600.
(28 luglio 1999)
.

Voi nobili in fila

Sono io il Re, io.
Voi nobili tutti in fila,
nei feudi a spremer gabelle.
A fornire donzelle al re e fanti a dio.
Voi nobili in fila.
Garantisco io, il Re, per voi,
scaltri e rissosi.
Preziosi nobili, verosimili e ignavi
accumulatori per grazia di dio
e volontà del Re della nazione.
Voi nobili in fila.
Se salta la gerarchia,
che io garantisco a mediazione,
salta anche il Re, cioè io.
Pane e giochi contro gabelle.
Voi nobili in fila:
Spa, Sarl, Sas, Sdf.
Donzelle e gabelle al Re, cioè io,
e fanti a dio per la sacra nazione.
Se salta la gerarchia, salta anche il Re.
Se s'alza l'anarchia, s'alza anche il Re,
e lascia la sedia vuota e ammuffita.
Lascia la gerarchia all'anarchia.
Voi nobili in fila.
(1° settembre 1996)
.

Questo quantomeno

Problemi rimangono solo
per la sede di Ancona.
Giustamente le proposte alternative
uno dopo si comporta di conseguenza,
te è inutile che mi parli di struttura.
Questo quantomeno.
Questo quantomeno.
Si dovrebbe ritornare
a far lezione dentro la classe.
A me sembrano
che il problema posto
non è tanto sulla qualità
ma sul metodo.
Anch'io se dovessi fare proposte
l'anno scorso è successo la stessa
medesima e stessissima cosa.
Mi metto a tavolino per dieci giorni,
mi concentro, penso, scrivo, e poi ci vediamo.
L'orientamento è un processo
di funzione alta nella scuola.
Cosa dite dell'accoglienza,
nel piano dell'accoglienza,
in modo che adesso vi chiedo
è stato fatto fare un giro.
Ma no, non è per tutte le classi?
Se non lo proponiamo noi
poi la società
è vero l'arte
non gl'é ne frega niente a nessuno.
Se sono impegnato
poi la crescita è per tutti,
fatti un giro per i corridoi,
il materiale umano
il Ministro se ne frega
ci lascia morire di circolari
tra capo e collo.
Questo quantomeno.
Questo quantomeno.
(13 settembre 1996)
.

La mano grassottella

Anche spostando l'obiettivo
in una banda più ragionevole e felice
si perderebbe il conto dei fratelli
che ci han seguito fino adesso
per questa terra gobba e piatta
che mi piace ricordare spesso.
Che si può dire di una ricerca lunga
e comune a mille persone
che non hanno alcun pensiero
se non quello, ahimé, sporco e selvaggio
della dimenticanza del pensiero.
E cosa si può dire di donne giovani
e profumate che ci offrivano carni
a febbraio cercando un paio di stivali di vacchetta
per le bancarelle nemmeno tanto in fila.
E come ricordare quella mano grassottella
che mi seguiva di fiducia
larga e pazientosa
in uno sperdersi di passi
che non hanno conto
se non per le fugaci sviste di parole dolci.
E cosa dire della pioggia fina
che passa attraverso i vestiti
mentre si corre chissà dove e per quale causa,
sperando passi presto il temporale
di quell'agosto libero e orgoglioso
parte del quale trascorso a Parigi insieme.
E quando ricordare le parole longeve
che ospitano sensi e doppi sensi
del linguaggio raffinato e soave,
per quelle vie di tutti i giorni
mentre la luna ci accompagna smemorata
delle terre da cui veniamo.
(29 agosto 1996)
.

L'acqua

L'acqua mi angoscia in casa.
Non posso vederla:
mi allaga il pavimento,
scende al piano di sotto
e fa marcire il parquet,
con il ticchettio mi da un tempo
che non è il mio,
mi sgocciola sul letto
e mi fa prendere la scossa del campanello,
m'inzuppa scarpe e calzini
e mi spiegazza la giacca di pelle.
L'acqua mi inebria in campagna,
l'ammiro per ore e ore:
con il cappello e il trench
mentre sgocciola sulle tempie
e sul mento intirizzito,
il profumo della terra bagnata
e dei tronchi marci spalanca le narici
ossidate dai polverosi diesel,
il gorgoglio di un fosso rifatto
da un mese di piogge
e i lombrichi e gli insetti
e i serpenti d'acqua
e i rovi ricalchi sui greppi franosi
che tutto è inzuppato,
e slavato e solcato e lustrato dall'acqua che cade
a piccole porzioni infinite,
misurando il tempo e modellando lo spazio,
interrotti dalle tese del cappello
e dall'incedere dei passi inutili
gravati dal fango che sale e si rovescia,
e luccica tutto l'intorno
di una brillanza frizzante
mentre mi scrollo la schiena
nell'incesto senza tempo
della gravità e dell'acqua.
(16 agosto 1996)
.

Tra Renoir e i Macchiaioli

Tra renuar e matisse
dopo una trombosi dove
praticamente le ballerine,
queste senz'altro.
Ricostruire un senso teorico,
diciamo così, di appartenenza.
Anche il realismo ricostruiva
pizzi e pizzette ai 4 venti
con la portata lacerante
e l'idea del mondo
che non è più oggettivo.
Scavavano nella memoria
e sulla tela, cioè, esponevano
bandi e marrani
sulla piazza dove una sinistra
già eterodiretta dall'al-di-là
come i macchiaioli ignoranti
nel bosco della paura
ora sedevano come scimmie
ora volavano come allocchi
(quanto gli daremo a questo?).
(15 luglio 1996)
.

Legate l'androgino

Ci sono dei leganti nei solventi
con ossidazione alchemica.
La forma di struttura
ha un legame doppio a 120°,
e praticamente avremo sempre
i quattro androgini.
Tu confondi la minzione, cara ragazza!
Tutti si ossidano producendo il petrolio
che serve a produrre una sinistra moderna.
Gli idrocarburi con l'androgino
danno un figurativo pesante
alla Modigliani prima maniera,
quello di Livorno, beninteso.
(15 luglio 1996)
.

Morte a credito

Madre,
domani t'ammazzano un figlio.
Si! Non è grave, poi è senza spese.
Alcune pallottole di piombo riarso,
di petto o di schiena non importa,
sbrandelleranno il miocardio.
E chi s'è visto s'è visto.
Il suo grido resistente
se lo ingoierà come un cane.
Eroe per poco.
L'interrogatorio lo dice colpevole.
Non ti preoccupare, madre.
Le pallottole le paga lo Stato
e anche la calce viva
per raggrumare presto
quello schifo di sangue
che schizzerà sul muro
del cimitero di Muccia.
Achille Barilatti (Gilberto della Valle)
avrà tempo per gridare libertà
dal fondo della sua fossa
a bocca in giù verso l'inferno
chiamando la sua Dita adorata
quella Marasli di Atene
che sa tutto dei suoi ultimi giorni.
A frotte, come le cicale di luglio,
passati per le armi come Achille
in sei stagioni d'orrore,
dopo vent'anni di minestre, Madre,
e di polenta scondita
imparando dignità nel lavoro.
A mantenere una classe borghese
di fascisti al potere
solo l'indifferenza serve,
tutto il resto viene da solo
passando efficace e per caso
tra i denti di un pettine
troppo largo e trasandato.
Madri del mondo,
non regalate distratte
figli ventenni alla guerra
già dall'età di tre anni.
(7 aprile 1996)
.

Gobbe di guerra

Gobbe, là in fondo.
Di cammello e dromedario,
pelose di roverella.
Filtrate da poca nebbia
che avanza umida e lucente.
Là. Oltre il campo della battaglia.
Dove lo spirito di trentamila,
Galli, Sanniti, Umbri, Etruschi
ancora ansima
nelle pieghe dei fossi
dopo ventiquattro secoli.
Ne attraverso al bordo
in punta di ruote la provinciale
scivolando sul mio cammello svelto
che òndula in quelle pieghe
come un cavallo saraceno di sera.
Supero lo stretto delle rocce
mi inerpico nel cuore d'Italia
all'ora di cena
per abbracciare mio padre e mia madre a Piaggiasecca.
(29 febbraio 1996)
.

Grazie di averci scelto

F.lli Valentinelli
esse enne ci
Via Crocifisso
Sotto lo scalo
Filetto di serbo 4850
Cotolette di croata 18770
Braciole di bosnico 750
Petto di slovena biondina 25000
Fettine di manzo al latte 7425
Fusilli de cecco 1450
Prezzemolo mazzetti 355
Rimborso buste - 50
Numero otto articoli
Pagamento contante
(9 ottobre 1995)
.

Una sega

Una sega,
ed è subito sera.
Niente sorrisi
niente bacetti
niente mediazioni.
Carta straccia, immagini, illusioni.
Flop.
Si vaga per un pò
e si ritorna nel nulla
dopo una bracciata di niente.
Ci si stringe ad un fumo
ci si abbraccia alla nebbia
che svanisce per un pensiero distratto.
Poi si scrive di chissà quali amori,
mentre ritorna il mattino
e il lavoro assordante ci aspetta.
Qualcuno poeteggia svampito
pensando sole la luna.
Qualcun altro avvisa la pioggia,
il mare mosso e un pò di freddo in più
che ieri non c'era.
(17 settembre 1995, Segnalazione al Premio letterario nazionale 1996, Città di Lerici, Spezia)
.

Arrivederci e grazie

Convenienza totale
Discount S.P.A.
Sacc. pattum 1950
Latte intero 1300
Mozzarella 1150
Pelati 790
Liquidi 2370
Prezzemolo mazzetti 335
Melanzane tonde pad. 1800
Nettarine gialle 4170
Libri narrativa 800
Crema guttalin 2000
Pensieri molesti 002
Pane 395 gr. 1855
Pane 408 gr. 1910
Pane 402 gr. 1890
Speranza 10.000
Nati vivi 2000
Senza palle tanti
Cassa 12.
Totale ... eh! ... quanti?!
Arrivederci e grazie.
(31 agosto 1995)
.

Otto mostri

Alti come Polifemo otto mostri venivano a me
pesanti come buoi accosto accosto tra loro
vestiti a festa sibilando veleni e silenzi.
Otto mostri con unghie e capelli informi
ritti come megaliti ambulanti e millenari,
con sguardi un pò di casa e un pò no.
Verso non c'era di atterrarli
e  mi restrinsi in me stesso
come la selce focaia d'Appennino.
Otto marce nel fango e nel sangue
per vederli scappare
e lasciarmi lo spazio totale.
(17 luglio 1991)

Il flamen dei monti

Che le montagne respirino
l'ho visto da piccolo.
Il fiato usciva dai fori
come polmoni stanchi
e io mi beavo del fresco
daciso e necessario flamen.
Di tanto in tanto
si sentiva scricchiolare le pietre
come costole ingessate che si aprono in tondo
e si vedeva l'orrido delle forre
toccarsi a piacimento.
Pensavo che respirassero
il profumo delle margherite.
Oggi non sento più scricchiolare
e non vedo più gonfiarsi le pareti rocciose.
Ma sento lo stesso il flamen del monte
che pervade la nostra vita.
E' il flamen dei morti
che dall'oblio dove li abbiamo cacciati
ci mandano segni d'eterno.
(26 maggio 1995)
.

Doppia mattanza d'Adriatico

Otteqquindici freddo
sole chiaro vallesino
sfondo San Vicino
novole dense alte
mille e mille case
sul versante assolato
le galline hanno fatto colazione
i maiali sono all'opera
quelli rimasti dalla mattanza.
Pochi contadini
a raccapezzare le frasche
nei campi e nei fossi.
D'un tratto un brivido
guardo lo specchietto
cerco la Jugoslavia sullo sfondo
oltre i pioppi d'allevamento
e le cisterne dell'API.
Non vedo né galline né maiali
ma pochi contadini vecchi
quelli rimasti dalla mattanza.
(5 gennaio 1994)
.

Ricordo la barba

Secca di tanto in tanto
scricchiolava la baracca di ferro tedesco
deposito di guerra poi campo di passaggio
prima di Bochum avanti al tramonto
per annunciare la sera e fermarsi fino al mattino
ed annunciare l'alba come un aspro carillon
sopra le pozzanghere di melma congelata
fino a mezzogiorno a dire:
alzatevi e dateci le braccia le gambe e il petto
e ogni muscolo e pensiero fino a stramazzare a sera
sotto una crosta di carbone appiccicoso
sulla faccia sudata di un sorriso di babbo
che sfregava la barba sul mio viso ispida
e vivo anche per oggi.
(14 gennaio 1993)
.

Il caso delle brecce

Le brecce sulla strada sono sparpagliate a caso?
E ciò sarà per tutte le strade?
Certamente un creatore avrà pensato a metterle colà!
Non ce ne sono mai tre in fila neanche sul chilometro!
Un dio, ... chissà lo sforzo, e l'impegno
di metter tutte le brecce a caso!
Anche nel mio cervello i pensieri sono tutti a caso.
Ma prima di domani un vino a caso
li metterà tutti in fila
per sette e senza resto.
(11 gennaio 1993)
.

Sala insegnanti

L'acre fossile vegetale
in bella posta
contro il muro bianco
per figura
null'altro che statico
verde di natura
senza sembianze
nudo
senza vergogna
in una coccia di terracotta
sporca ed erosa
colma di cicche
a dire, il tutto,
anche noi siamo
al mondo distratto
con un pensiero
debole debole
anemico e trasandato
nella sala degli assenti.
( 23 novembre 1992, 3° premio internazionale poesia singola Circolo Voci Nostre, Ancona)
.

Vena melanconica

Stamane i cirri sono radi,
prevale l'azzurro che s'incastra in essi,
spingendoli ai margini della calotta celeste.
La brezza fredda del monte
vince sull'afa costiera
spingendo le fronde ostinate a ritornare.
Stmane tutto occappa,
Leonardo col pisello ritto,
stamane come una cozza
attaccata allo scoglio della vita.
L'universo lenisce i reumi maldestri
e il civile allontana dagli animali,
coi loro odori, coi loro suoni.
Senza grinta e con poca rabbia
rimango civile e assonnato
scollandolo dall'animale.
Per indizio una vena melanconica.
(28 maggio 1991)

Quanto vale

Quanto vale un uomo che lavora?
Che dà tutta la forza di ogni muscolo?
Che dà la sua mente, foss'anche un pò lasca,
al servizio dei muscoli?
Che gronda sudore dai pori della pelle
generoso e abbondante, impastato alla polvere?
Quanto vale una donna che alleva figli
dando ogni umore del corpo
nello sforzo supremo del nascere?
Che li cura trasponendosi in loro
annullandosi nella mente e nel corpo?
Che vibra con loro fino a vent'anni
come li avesse ancora in pancia?
Mai apprezzamenti
per lo sforzo di lavorare e allevare
con la dignità del silenzio
e dell'innata missione.
(10 aprile 1991)

Il babbo di babbo

Abbracadabbra Tarabattà!
Eri un pilastro della terra.
Il mistero dell'eterno,
per me piccolo di otto anni.
Eri storia e antichità,
il sempre esistito
l'infinito nel racconto
delle 33 lepri del Michigan.
Tarabattà ! Giravo intorno a te
montagna senza fine di storia.
Un occhio solo, il sigaro,
la doppietta, il marraccio.
Come Geronimo a orecchie ritte
per scrutare rumore e odore
del vento passato sul monte
affrontato a rittochino.
Cappello a falde, maglia di lana,
gilè abbottonato anche d'agosto.
(2 aprile 1991)

Siamo grandi

Cari amici, amici cari e meno cari,
vorrei abbracciarvi fraterni in quest'ora
(è sempre l'ora)
solenne, sacrale e sciatta,
per dire alle nuvole che siamo grandi
che siamo rocce giudate dalla forza di ragione.
Vorrei roboare all'inferno
dall'alto della montagna,
sullo Spicchio più fiero
che solo la morte porterà a sopirci
tra frassini e treggiaie.
(24 marzo 1991)

La tempra

Cara amica, la tempra è arrivata,
fuoco e acqua alternati al corpo e alla mente.
Dopo tremila anni di civiltà
ancora pastori e pecore,
ancora arroganza e pavidità.
Gli stessi luoghi per tremila anni
hanno udito civiltà e ragione.
E tu, caro Nietzsche,
che mi parli di Zarathustra?
Forte come un calcare del Catria
da cento anni mi illudi.
Ora la tempra è arrivata
il fuoco e la rabbia sono spenti
e il cinismo fa breccia
nelle crepe della tenacia
di questo ferro moderno e lindo.
(24 marzo 1991)

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13-11-2010
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15-11-2010
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