Nel mare di Beatrice

Sono il mare della tua barca di voglie infantili,
agito onde per via e ti salasso l'arguzia matura,
ti faccio giuggiolare per questo agitarmi e tu remi
per questo ondeggiare di lussuria alle grazie che vedi
e a quelle che non t'immagini neanche, povero fesso!
Non ho pietà e sarai subissato, vedrai quel che non c'è.
Ma mi mordo il labbro e mi s'increspa il pensiero. Chiavare?
Ma neanche un bacetto, neanche uno struscio, un sorriso!
Non ti voglio nemmeno vedere, sono nelle nuvole, e al di là,
e ci voglio rimanere, sorridendo al vento per farti vegliare.
Quante storie! Io ammiravo quel pò di Botticelli residuo
che conservi ancora a tua insaputa dopo la cinquantina.
(lunedì 15 ottobre 2012, Omaggio 2 a Dante)

Pape Satan alla guida del perticaro

Era un lasco, da piccolo, ora nulla passa con lui che non puzza d'inganno.
Gioca a carte nella suburra e vive nella senigallietta di notte.
Hai messo la maglietta di lana? - fa la consorte - Ora n'è il tempo!
Trangùgiati mezzo litro, poi presiedi vanverando alla papessa Giovanna.
L'ha messo in quel posto a tutti quanti, l'Aloni Alfiba, amici e maestri,
saltando saltando, alla garibaldina, e pennicando nelle retrovie dell'istruzione,
per approdare al natural prospetto - e ci mancherebbe! dice lui - della dirigenza.
Pape satan, pape satan, aleppe - mi sta bene solo laggiù! annotàtelo! -
accanto ai miei compagnucci cattocomunisti della briscoletta,
che di sera mi osannano - oh, come mi osannano, ... si! -
loro, così gentili, col fiasco in mano - si, loro, la mia passione.
Giro alto come un falco tra lo sterco degli acari e arringo le pulzelle
che mi sanno ostile, dal fiato etilico, dal rimbrotto facile e messianico.
Non hai fatto il biglietto? No? Tanto non sei uso ... e viaggi da indiano,
curando da pizzicagnolo la delibera e ogni carta che non sia la briscola.
E sei fortunato che Ben Pandera l'hanno inchiodato al legno
come una putrella al muro in zona sismica con faglia tettonica,
che se potesse sbarcherebbe a terra a ridimere i tuoi vezzi indicibili.
Ti sei giocato la grafica della sede centrale, da buon gregario,
da buon sindacalista (ma di che, poi?), con occhio vigile e sornione
- voglio andare laggiù, vi scongiuro! tra i miei compagnucci della briscoletta,
nella mia senigallietta, oh ... loro sì che mi amano col fiasco in mano ... -
e il sottosegretario del partito rifondarolo, cui approdasti properly family dalla DC,
ti tappa la bocca alla conferenza delle fanfaluche, dove esprimi poco e d'inganno,
poi ti scusi s. m. col pretesto del lutto, da buon pinocchio e paterno spergiuro.
Da repellente spifferaio ti giochi il narcotico segreto d'ufficio come una scartina.
Torni ogni tanto sul luogo del delitto, pago e frontoso, a scongiurar congiure,
intanto che sali in cattedra, alla barba del precario untuoso come te,
e di quello che aspetta obtorto collo tempi migliori, non avendo briscole in mano.
(sabato 6 ottobre 2012, Omaggio 1 a Dante, Omaggio 1 a Sordi)

A tutta forza

Avanziamo rinculando a tutta forza dalle 6,28 (col Còrso),
ripiegamento di tovaglietta, salviettine profumate,
rotolone, asciugamano, spazzolino e dentifricio (niente cucchiaio),
e s'insacca il tutto in un borsone (senza rotelle).
Gli abiti scelti per la festa (60° di nozze)
vengono enumerati all'addetto in giacca nera (mancano le mutande),
si fissa l'agenda con l'algebrista in camicia bianca (e cravatta nera).
Ci invitano nel corridoio, ne esce un sarcofago d'acciaio lucido (a rotelle)
che scompare nell'ascensore dovuto (in questi casi).
Si ramazzano giornali vecchi e bottigliette vuote,
uno sguardo a tutto tondo e si ripiega nelle retrovie,
l'ospite ebete è già andato (per accertamenti, dicono),
qui il certo è certezza, il combattimento è concluso.
Non restano che le briciole del tramezzino della sera prima,
sono vistose ma poche, e sparse su area vasta,
ma di quelle, chi se ne fotte!? Chi le noterà mai se non l'addetta?
Chi farebbe un contenzioso o malumore per quattro molliche?
(lunedì 9 luglio 2012 ore 10,00)

La norma liscia e dritta

L'ho sfogliati un pò così, Corsera, Carlino,
l'altro ospite sorride ieratico ed ebete sul seggiolone,
vuole coricarsi ma l'infermiera insiste.
126 non parla, se ascolta non si sa, trema talora,
guarda di sottecchi qua e là,
spalanca il destro ogni tanto poi lo richiude,
niente di speciale, la norma del morire a otto flebo,
lenta s'innesta solenne, mentre le nostre stenosi
non s'arrestano nemmeno con bottiglietta d'acqua.
Puzza tutto qui intorno come ad un parto,
come ad un party dove signore arruffate
abbanfano l'aria miserevole degli estrogeni andati.
Né di venere né di marte, ma neanche di domenica,
non rimane che lunedì per dar principio all'arte.
Si scinde da qui il calcare d'appennino sotto flebo,
placebo erronea e inconsistenti lacci, nulla,
nella loro trasparente inerzia di ammennicoli.
Dice il dottore che il terminale è avanti,
che persiste, che la fibra è forte,
ma il tempo trascorre sornione e ti lustra il naso a mezzogiorno.
Qua fuori parlano solo marocchino e slavo nel solleone,
e aspettano un bacio della sorte, che già è loro generosa.
(domenica 8 luglio 2012, ore 11,50)

Fabriano (AN)

Bagno a orario di fabrianità,
nella dialisi della globalizzazione, caput mundi del nulla.
Facce lesse come allora, contente del rude quattrino,
paffutelli spennati del sogno della crescita.
Sono cambiate le magliette e le capigliature
nel mentre che l'oste portava via la cena
lasciando l'odore di arrosto alla poesia
spenta nel calderone del profitto tradito.
Due vigilesse guardano impettite acuto e lontano
nel nulla dei tre giorni di un maggio odoroso
che rimembra ancor quel tempo della vita fatale
che non porta rimorsi all'Aristide spento
nel portacicche del proletariato contadino.
E la beltà di Livia e il suon di lei e le morte stagioni
e il fango sui calzoni e sulla schiena
in luogo di una tradotta che Gaoni diceva militare.
Si protendono mammarie in fuori le mestrue di colà,
nella Piazza di Sturinalto come gladiatori nel Colosseo,
incedono, non camminano nel mondo,
il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo.
Si canta l'alto inglese e si parla il basso maceratese
con la ragione spinta a zampate oltre la siepe.
Non c'è posto per pisciare qui, se la tengono tutti,
e non ci si sbilancia più di tanto,
si ride tirato anche al sabato del villaggio.
(26 maggio 2012, Omaggio 1 a Leopardi e Omaggio 1 a Pascal)

Andare e tornare

Posso fare seicento chilometri con questo pieno,
poi altri seicento e seicento e stare a Minsk,
e godermi il sole sotto i pioppi dell'Horki Park,
poi altri seicento quattro volte, con credit card.
Alla foce del Pechora potrei ridiscendere,
per il Volga e giù giù fino al Golfo Persico
vedere gli Sciamani siberiani per strada
e fumare un Toscano con loro.
La dove i mondi si unirono a Eraclito
portando di qua l'acerbo mistico
che oggi difetta ovunque si usi il cellulare.
Potrei andarmene nel Gobi con qualche pieno
e saltare i carboni ardenti con loro
poi starmene al sole finché non evapori
la mia ultima molecola d'acqua.
Ma no. Sto qui. Come un somaro in piedi,
ordinato cittadino del niente,
aspettando il rincarco del basto già carico.
(4 maggio 2012)

La prova del nove

Non c'è rimasto niente - diranno i bacherozzi.
Sarà pure peggio se all'errore persiste la fibra.
E così il principio d'ecologia andrà rivisto.
Come sempre avremo una lacrima pendula
per una miseria d'esistenza nel nulla delle ceneri.
La dove dicono ci sia Dio pare di no,
pare che tre brecce non riescano a stare in fila
neanche nell'eternità,
neanche a pestarsi gli occhi pur di vederne le mosse.
(27 aprile 2012)

Sic vis

Puzziamo di morte alla prima scoréggia da neonati,
non saremo eterni certo per un'idea,
né avremo miracoli nel taschino.
E tutta la storia è quella di flatulenze regali
che passano in prima fila anche in TV.
Ut tensio sic vis, e così a morire come a nascere.
Si resiste ma veniamo gettati al mondo,
ogni giorno si tien duro per una pagnotta,
poi si resiste ancora e, peggio di prima,
si sparisce come le foglie in autunno dagli alberi.
(24 aprile 2012, Omaggio 2 a Ungaretti)

Remare, ora

Un timoniere tremolante ti regge sicura la mano,
toccherà a te reggerlo, niente vento, niente correnti,
ti toccherà anche remare, tenendolo per dove devi andare.
E che diamine ! Non vedi la rotta ? Non vedi per dove devi andare ?
Ci provo, ma la bonaccia rischia lo stallo e la fame allunga le barbe.
Saltelliamo per un pò su un piede nei carboni ardenti giurando di farcela.
Poi si vedrà.
(13 aprile 2012)

Sera

M'abbuio
d'un buco.
(21 marzo 2012, Omaggio 1 a Ungaretti. Maledizione al 20 pollici)

Partire

E' scomparso sul corridoio dietro la valigia e i passeggeri, dietro un'ombra,
e con lui il treno oltre la curva della frana con bottiglietta d'acqua.
Poi il silenzio dello sferragliare s'è fermato alle 13 e 28.
Tornerà tra due anni, come altre volte, con la vita imbagagliata nel trolley.
Arriverà per le scale ansimando, mi verrà un pensiero.
Un manifesto, le scarpe andate, le cassette dei film, la sedia rotta,
qualche Barthes e Calvino sul parquet, non c'era posto: evito rogne a Malpensa.
M'affaccio e c'è da rifare il letto come l'esistenza di sé.
Anche il minestrone è così duro che lo pesto con la forchetta e a pugni,
non s'ammorbidisce, non entra, dice che la stenosi è più del solito.
Passano ore e gli uccelli cantano che ancora il parco è abbuiato di nebbia,
si fa tardi anche stasera per niente.
(28 gennaio 2012)

Cercare

Cerco ciò che non c'è alla Feltrinelli.
Un odore, un passaggio, l'ombra lunga di mezzogiorno.
Anche dal tabaccaio scompigliato guardo bene oltre il banco.
Un piccione mi starnazza davanti, vorrebbe delle briciole,
ma il big-mac l'ho già ingoiato in piedi.
Non mi dicono qui se l'infinito che cerco sta di là o di qua.
Non l'hanno visto, e sono meravigliati che qualcuno ne chieda.
Ci accompagna l'ombra sul fianco sinistro,
e così la strada è più gelida, sprizza tramontana e la morte.
Musil, Chateaubriand ? Sono morti anche loro come toccherà a me.
Non ci saranno sconti, non ne cerco, ho sempre pagato il prezzo.
Non darò battaglia alla morte. E chi se ne frega ! Venga pure.
Non mi ghiaccia a pensarci e non m'incuriosisce, la vedo e non mi monto la testa.
Intorno si fa il vuoto. Vanno a pranzo e ne tornano altri a stomaco pieno.
I palazzi bombardati sono stati rifatti allora, ed è già ora di ribombardarli.
Così avremo tutti la merda alle pupille, e da essa nascerà qualche cosa,
anche se s'allargherà il mattatoio della storia.
Guardo in giro, ma non c'è alcuno che conosco cui far leggere queste righe
senza darmi del matto a stomaco vuoto.
(21 gennaio 2012, a Piazza Roma)