Fabriano (AN)

Bagno a orario di fabrianità,
nella dialisi della globalizzazione, caput mundi del nulla.
Facce lesse come allora, contente del rude quattrino,
paffutelli spennati del sogno della crescita.
Sono cambiate le magliette e le capigliature
nel mentre che l'oste portava via la cena
lasciando l'odore di arrosto alla poesia
spenta nel calderone del profitto tradito.
Due vigilesse guardano impettite acuto e lontano
nel nulla dei tre giorni di un maggio odoroso
che rimembra ancor quel tempo della vita fatale
che non porta rimorsi all'Aristide spento
nel portacicche del proletariato contadino.
E la beltà di Livia e il suon di lei e le morte stagioni
e il fango sui calzoni e sulla schiena
in luogo di una tradotta che Gaoni diceva militare.
Si protendono mammarie in fuori le mestrue di colà,
nella Piazza di Sturinalto come gladiatori nel Colosseo,
incedono, non camminano nel mondo,
il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo.
Si canta l'alto inglese e si parla il basso maceratese
con la ragione spinta a zampate oltre la siepe.
Non c'è posto per pisciare qui, se la tengono tutti,
e non ci si sbilancia più di tanto,
si ride tirato anche al sabato del villaggio.
(26 maggio 2012, Omaggio 1 a Leopardi e Omaggio 1 a Pascal)

Andare e tornare

Posso fare seicento chilometri con questo pieno,
poi altri seicento e seicento e stare a Minsk,
e godermi il sole sotto i pioppi dell'Horki Park,
poi altri seicento quattro volte, con credit card.
Alla foce del Pechora potrei ridiscendere,
per il Volga e giù giù fino al Golfo Persico
vedere gli Sciamani siberiani per strada
e fumare un Toscano con loro.
La dove i mondi si unirono a Eraclito
portando di qua l'acerbo mistico
che oggi difetta ovunque si usi il cellulare.
Potrei andarmene nel Gobi con qualche pieno
e saltare i carboni ardenti con loro
poi starmene al sole finché non evapori
la mia ultima molecola d'acqua.
Ma no. Sto qui. Come un somaro in piedi,
ordinato cittadino del niente,
aspettando il rincarco del basto già carico.
(4 maggio 2012)