Ho visto i piccioni di piazza Roma
beccare la fibra di cocco offerta
dalla vecchia con le buste di plastica
attorcigliate addosso e le caviglie gonfie
che inveiva a non so chi in una lingua
senza suono e arida come i sassi di
una massicciata non ancora assestata.
Erano 24 che beccavano senza pace.
Due se ne stavano più in là accovacciati
al sole sulla pietra d'istria a spulciarsi
le ali e il petto. Un altro pareva morto.
In discesa sul corso, accanto al Vanvitelli
il Superfast s'ingrossa a ogni passo
e meno di quello, flotta come un rospo
in ambiente secco ma con la lingua
in avanti e il motore acceso.
Fruscia ancora quest'arietta leggera,
impensabile a casa mia, e fruscia anche
il pensiero di una partenza clandestina
verso Igoumenitsa per vedere i vecchi ulivi
e le scorrazzate del giugno 2004
prima della tempesta stupefacente
che ci ha travolto come vecchi legni
sul bagnasciuga appena sei mesi dopo.
Vorrei fare una foto ma non vedo
cose interessanti se non il vigilante
della sbarra del porto che fuma col collega
all'ombra della Banca d'Italia.
Quella motoretta ha le gomme ancora buone
ma la sella è screpolata dal sole e
c'e una leggera puzza di benzina che sfiuta
dal tappo del serbatoio assolato.
Anche il baretto all'angolo di Piazza Cavour,
verso gli archi, come me ha chiuso per esaurimento.
(martedi 30 luglio 2013)
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