Una camera

Dopo una settimana era ancora buia la mia camera
né ombre, né raggi, né un qualcosa per sperare
e l'aria scura era ancor più intrisa di pensieri rimestati tante volte.
Un quadro mio di fattura poco rinascimentale
Neruda e Marcuse ora in fila con gli altri
e quella persona interrotta con la sua aria languida che chiama ancora.
E il tutto, che fa girar la testa anche a un elefante inginocchiato,
e anche a me distratto che ho aperto ignaro, come sempre, quella porta,
bussa alla tempia come un ricordo che non se ne sa andare.
E il Babbo non più calcareo ma giunco d'Appennino
pensoso, eretto, che mi bacia come un bambino
e mette in fuga le ombre degl'inverni.
(13 febbraio 2011)

Una stanza

Era buia la mia stanza oggi quando sono entrato,
non un filo di luce, Neruda di traverso sopra gli altri,
la foto di nonno e bisnonna di piatto,
le infradito estive per la notte sotto al letto.
Ma era buia in modo diverso, troppo netta, inattesa
contro l'aria tersa luminescente a specchio sulla neve,
era buia ad un affetto, ma era lì in attesa di qualcuno
che squarciasse il vuoto per infilarci un altro sogno inutile.
L'ho richiusa piano e perplesso, non sapevo cosa fare.
Era vuota la mia stanza anche del me che era altrove.
C'erano i sogni adolescenti intrisi d'aria scura.
C'erano ancora gli oggetti che sistemo ogni agosto,
e la fantasia, il progetto, la malinconia di ieri e di oggi
e non aspettavano nessuno, sparsi e dimenticati,
ma vivi per conto loro danzavano squinternati
a menarsi pacche sulle spalle e a sfottersi ebbri,
che tanto poi sono già nell'oblio dei secoli,
come di Giandomenico nessuno ricorda.
(6 febbraio 2011)

Un palo

Ritto sull'angolo del parco un palo reggeva il filo
che reggeva piccioni appollaiati a godersi il sole
del mattino lucente e freddo di febbraio.
Quelli non correvano, non pensavano, non vedevano
nemmeno noi nelle macchine schizzare al lavoro,
forse non pensavano che alla notte gelata appena andata.
A loro il tempo non passava sull'orologio, né sul da farsi,
a loro il tempo scorreva nello stomaco - gran pensiero! -
che sarebbe arrivato tra poco a spingerli nel volo.
Noi, con il nostro peccato della conoscenza,
a domandarci una gran quantità di cose inquieti,
una smania di domani che è cominciata col fiume della vita.
Che ci trasporta nell'inferno della crescita,
che non può che darci bidonate a ripetizione,
stanchi perfino di vedere la meraviglia dell'immanenza.
Loro, eterni perchè senza paura della morte
perché beati del nulla e dell'eterno e, tuttavia, presenti
alle scaramucce della ricerca di un verme.
Loro così urbani e forti che assistono al nostro vaneggiare,
loro sul palo della luce, noi a strisciare radenti
ancorati al nostro grave di pietà per fugare la morte.
(4 febbraio 2011)