Dopo una settimana era ancora buia la mia camera
né ombre, né raggi, né un qualcosa per sperare
e l'aria scura era ancor più intrisa di pensieri rimestati tante volte.
Un quadro mio di fattura poco rinascimentale
Neruda e Marcuse ora in fila con gli altri
e quella persona interrotta con la sua aria languida che chiama ancora.
E il tutto, che fa girar la testa anche a un elefante inginocchiato,
e anche a me distratto che ho aperto ignaro, come sempre, quella porta,
bussa alla tempia come un ricordo che non se ne sa andare.
E il Babbo non più calcareo ma giunco d'Appennino
pensoso, eretto, che mi bacia come un bambino
e mette in fuga le ombre degl'inverni.
(13 febbraio 2011)
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