Ritto sull'angolo del parco un palo reggeva il filo
che reggeva piccioni appollaiati a godersi il sole
del mattino lucente e freddo di febbraio.
Quelli non correvano, non pensavano, non vedevano
nemmeno noi nelle macchine schizzare al lavoro,
forse non pensavano che alla notte gelata appena andata.
A loro il tempo non passava sull'orologio, né sul da farsi,
a loro il tempo scorreva nello stomaco - gran pensiero! -
che sarebbe arrivato tra poco a spingerli nel volo.
Noi, con il nostro peccato della conoscenza,
a domandarci una gran quantità di cose inquieti,
una smania di domani che è cominciata col fiume della vita.
Che ci trasporta nell'inferno della crescita,
che non può che darci bidonate a ripetizione,
stanchi perfino di vedere la meraviglia dell'immanenza.
Loro, eterni perchè senza paura della morte
perché beati del nulla e dell'eterno e, tuttavia, presenti
alle scaramucce della ricerca di un verme.
Loro così urbani e forti che assistono al nostro vaneggiare,
loro sul palo della luce, noi a strisciare radenti
ancorati al nostro grave di pietà per fugare la morte.
(4 febbraio 2011)
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