La cinesina milanese

Ho le tasche del giaccone piene delle mie carabattole,
sigari, caramelle, la Szymborska in 25 miti,
e poi il cellulare, la fotocamera, il taccuino su cui scrivo,
questa penna che sopravanza le idee.
Se ho le tasche piene di carabattole non è perché sono povero,
mi sento ricco perché non do fastidio a nessuno,
si direbbe che sono autonomo, ma non pare nemmeno così.
Qui di fronte s’è seduta una cinesina vestita alla milanese
che ripete p come pane, c come casa, m come montagna,
ha lo sguardo loscamente ingenuo di chi non sa cos’è,
né cinese, né milanese.
E io, poi? Forse milanese per un giorno, forse bipede,
ma seduto con ordine sulla panchina di legno.
Nei palazzi di fronte ogni tanto s’alza una tapparella,
qualcuno si rischiara la voce scatarrando due tre volte,
poi giunge un bambino che vuole la nonna sullo scivolo.
Ma sé matt?!
Motorette e berline ordinate sulla Padana Superiore.
Le scope del Road House Grill si agitano nei secchioni.
Non ci sono quadrupedi qui, e nemmeno campane.
Di colpo risuona il rombo di una moto tra i palazzi,
pare arrivata la morte delle motocarrozzelle naziste
come riferisce mia madre per ricordo, qualche volta.
La Pasquetta qui è diversa da quella dell’anno scorso,
non ci sono indiani bronzati qui, nessuno ha dormito sui cartoni,
non ci sono nemmeno i cartoni, né le cartacce.
Le cornacchie sulle antenne TV si godono il sole.
Spiaggia, spiaggia, spiaggia, ripete la cinesina ignara,
alle prese con una lingua lontana quanto la sua.
(24 marzo 2008)
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