Piazza Roma

I palazzi mi cadono addosso
in questo tavolo a Piazza Roma
mentre l'amico di spalle fuma un sigaro con me.
Non c'è luogo per stare sotto questo ombrellone
che si accascia su di me,
e le fronde degli alberi a primavera
mi pesano come mosche sotto il caldo.
Anche la musica di Battisti
si avvolge su di me come un pitone
con il primo innamoramento di "Balla Linda",
mi rammenta anni passati,
attuali come l'indecidibile di Godel.
Tra le cicche in terra
non ce ne sono tre allineate, come se un dio
ne impedisse la disposizione.
Non si sente lo sferragliare dei treni qui.
Tutto ti sormonta feroce
come la fienagione d'agosto in montagna,
come la folla ondulante di Roma,
come i pensieri sul foglio che s'aggrinza da solo.
Qui tutto è niente, e niente pare tutto,
tutto scorre in un fluire immobile,
niente ha l'aspetto del mio cuore ormai stanco
stretto tra le domande su un passaporto d'aldilà.
Passano uomini e donne anche qui,
ma non guardano niente,
pesanti nei loro luoghi mentali senza luogo.
Passano piccioni secolari, cartacce svolazzanti,
motorette impettite, divorziati indifferenti.
Passano occhi vuoti che si fermano su un'etichetta
che non domandano più nemmeno il prezzo,
che spariscono su se stessi come gorghi.
Non passano adolescenti, non passano buoi al giogo,
né Nietsche, che appare lontano,
astruso profeta che non parla più a nessuno.
Con cento buste di plastica attorcigliate
passa una vecchia grassa che ruga all'inferno,
sguardo basso, misura le mattonelle
di un marciapiede che non c'è,
misura la morte che cammina.
Vaga in cerca di un luogo,
rimonta a Capodimonte
e cerca il vedere lontano e sobrio
nascosto nell'urbe delle nebbie bizantine,
nelle sabbie mobili di un'esistenza che pulsa ancora.
Passano i tempi senza avere una meta
e ridispongono a caso le cicche
mostrano insolenza per luoghi ordinati,
mostrano forze che non vediamo
che scorrono sotto la pelle come sotto al pavé.
(5 maggio 2007)
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