leggero su un pass che non porta orizzonti
né giardini, né tombe, né lanuggine di pioppi, né pelucchi d'acrilico.
L'afa di Ancona mi passa radente alla mente
anima senza corpo, orecchio senz'ode
erba di un prato senza flamen, anima senza corpo,
fruste fugaci che sferzano ombre aggrottate nell'aria.
Risme di carta che il vento dislega
come gocce d'olio nell'acqua calda distesa.
Rampogna che rode il cervello
e fregia d'alloro l'inferno imminente ...
mi chiedo l'errore, lo sbaglio, la cosa mancata,
lo scacco raccolto mi ghiaccia.
Si perde ogni senso, ogni amore, ogni roccia.
Le mani incrociate non danno ragione
a un rosario nervoso che asserisce e smentisce,
svanisce e ritorna più ampio.
Mi manca perfino la pelle della nudità
intorno al farsi la morte.
Mi iscrivo all'immenso e ne studio le mosse,
mi duole la pancia, mi strido da solo,
m'aggrotto e mi scrollo le spalle,
scrivo e riscrivo pensieri sconclusi e sonnanti,
ripresi di notte, riletti di giorno,
stracciati come lemmi inessenziali.
Statuario il problema campeggia, si sfuma,
ritorna tagliando ogni cosa, s'arruffa, si staglia, si toglie.
Rapace aspira ogni fiume nel vano, ... nel limbo della cosa.
La tacita intesa sobbolle di nulla.
Non c'è preghiera, scongiuro, perdono, riscossa.
Se Parmenide aiuta, Eraclito affossa,
e mi scrive sull'orlo del foglio ch'è la fine.
(27 marzo 2007)
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