Non posso vederla:
mi allaga il pavimento,
scende al piano di sotto
e fa marcire il parquet,
con il ticchettio mi da un tempo
che non è il mio,
mi sgocciola sul letto
e mi fa prendere la scossa del campanello,
m'inzuppa scarpe e calzini
e mi spiegazza la giacca di pelle.
L'acqua mi inebria in campagna,
l'ammiro per ore e ore:
con il cappello e il trench
mentre sgocciola sulle tempie
e sul mento intirizzito,
il profumo della terra bagnata
e dei tronchi marci spalanca le narici
ossidate dai polverosi diesel,
il gorgoglio di un fosso rifatto
da un mese di piogge
e i lombrichi e gli insetti
e i serpenti d'acqua
e i rovi ricalchi sui greppi franosi
che tutto è inzuppato,
e slavato e solcato e lustrato dall'acqua che cade
a piccole porzioni infinite,
misurando il tempo e modellando lo spazio,
interrotti dalle tese del cappello
e dall'incedere dei passi inutili
gravati dal fango che sale e si rovescia,
e luccica tutto l'intorno
di una brillanza frizzante
mentre mi scrollo la schiena
nell'incesto senza tempo
della gravità e dell'acqua.
(16 agosto 1996)
.
Nessun commento:
Posta un commento