poi l'inno non s'è più sentito e non se n'è saputo più niente.
Sono caduti ad uno ad uno tutti i miti che indicavano il da farsi,
sono cadute le favole, gli amori, l'aria garibaldina che teneva fresco l'andare.
E il luogo della patria è sfumato anch'esso un mattino di marzo 2005,
non c'era più posto dove stare e sono diventato extracomunitario anch'io.
Ogni luogo era buono per stare con me stesso sotto le nuvole,
una specie di liberazione - direte - ma non sembra nemmeno così.
Un bacio all'aria fritta, un bacio ai ricordi, alla macchinosità del divenire
faceva più rumore del treno che fa sobbalzare le fondamenta di casa
se abiti nei pressi di una ferrovia di campagna.
Andavo nella prateria sconfinata della mia mente a cercare luci,
ma tornavo con un pugno di niente avvolto in un panno di nebbia.
Bandiera, inno, e il luogo di una patria rimanevano indicibili,
anche un guard-rail del porto era buono per sentirmi a casa,
anche un dondolo ergonomico era buono per congelare le meningi.
La città intera, tutte le città, non erano quanto un guard-rail del porto,
dove osservi le manovre dei traghetti come un gioco da tavolo.
Ora mi manca pure la nudità delle cose traverse,
delle cose che non si vedono ma ci sono, di quelle che si vedono ma non vedi,
che s'è disciolta nell'acido lisergico di un lustro.
(6 dicembre 2010)
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